I buoni propositi e i problemi critici della filiera della canapa italiana

Canapa economia e politica //

commissione-agricolturaSi è svolta, lo scorso 19 novembre, un audizione nell’ambito dell’esame sulle proposte di legge recanti disposizioni per la promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa.

Ha aperto l’audizione Filippo Mario Stirati, sindaco del Comune di Gubbio, che ha sottolineato l’importanza di intraprendere delle procedure di agevolazione della coltivazione della canapa. Il sindaco ha sottolineato come, nel suo comune, diversi giovani si stanno interessando a queste coltivazioni con la speranza di creare lavoro non solo dalla coltivazione in se, ma dalla trasformazione dei derivati della canapa.

A prendere poi la parola è stato Paolo Barboni presidente del consorzio AGRAIA. Egli ha spiegato come, nonostante i tanti problemi dei territori appenninici, la canapa abbia dato ottimi risultati nelle coltivazioni sperimentali già effettuate (32 ettari coltivati nel 2014). Da tali colture si intende ricavare principalmente fibra per bio-edilizia. Durante il suo intervento ha anticipato l’intenzione di coltivare per l’anno 2015, da i 200 ai 300ha, dato il successo da loro ottenuto partecipato a ben tre bandi pubblici e vincendoli tutti. Tali bandi prevedono rispettivamente:

– la realizzazione di bio-plastiche, assolutamente biodegradabili e ad impatto zero, in sostituzione delle attuali plastiche usa e getta, altamente inquinanti.

– “prototipare” una macchina che lavori la fibra della canapa.

– la preparazione di una birra artigianale, realizzata in collaborazione con una società perugina, oltre allo sviluppo di svariati derivati alimentari.

Barboni ha denunciato il fatto che non è possibile lasciare al produttore primario appena quello che serve per coprire le spese di produzione; mentre chi ne giova è solo il trasformatore finale che, oltretutto, è “straniero” data la mancanza di impianti di trasformazione dedicati, in Italia. Egli ha concluso ribadendo che è necessario uscire da quella fase di piccola sperimentazione durata fin troppo, e avere una produzione sufficientemente larga da poter giustificare investimenti industriali. Credendo in tali necessità ha annunciato inoltre un programma di “riconversione nell’edilizia”, già intrapreso, in cui si intende sostituire con i derivati della canapa, il cemento.

A prendere poi la parola è Massimo Conte che, insieme a Valerio Zucchini, rappresentano l’associazione artigiani piccole imprese. Anch’egli ha sottolineato il problema dell’agricoltore nel riuscire a fare reddito, raccontando come nelle Marche si è già dimostrata la voglia di tutelare la semplice attività di coltivazione, realizzando una filiera costituita da: 20 ettari coltivati a canapa, 2 mulini, 4 pastai che preparano pasta con farina di semi di canapa, ed il coinvolgimento dell’associazione pizzaioli che è stata convinta ad inserire la lavorazione della farina di canapa, nei loro corsi.

Durante la discussione in Commissione, è venuto fuori un punto oscuro: nonostante esistano già 2 impianti di trasformazione delle fibre in Italia (Carmagnola e Taranto), a quanto pare, nessuno dei due è realmente funzionante dato che non c’è un flusso di canapa né in entrata né in uscita. La commissione ha chiesto specifiche, soprattutto sull’impianto di Taranto. Le risposte immediate sono state scarse: a quanto dichiarato risulta infatti che l’impianto ha iniziato a lavorare ma si è fermato per problemi tecnici.

Durante la discussione sono nati dei dubbi sulle 3 proposte di legge che dovrebbero regolamentare la coltivazione della canapa, di cui oltretutto, 2 sono identiche. A tal proposito, sostiene Conte, “se davvero andasse avanti quanto prefigurato nelle attuali proposte di legge, invece che costruire un futuro fatto di canapa, si distruggerebbe definitivamente quel poco rimasto”.

E’ poi il turno dei rappresentanti dell’Assoiazione Culturale Canapa Tuscia, nata al fine di ripristinare la Filiera della Canapa e delle Biomasse Agricole Autoctone nella Tuscia e nel Lazio. L’associazione ha realizzato un progetto per la fitodepurazione dei terreni e dell’atmosfera attraverso la coltivazione della canapa, chiudendo un contratto con una banca etica olandese per la coltivazione, nel 2015, di 30 ettari a canapa.

Particolarmente acceso poi l’intervento di Rosario Scotto (Sativa Molise), che ha parlato delle difficoltà nel coltivare 30 ettari di canapa in Molise, con ben 3 varietà diverse per testare le rese soprattutto per quel che riguarda i derivati alimentari, oltre a più di 50 ettari sparsi nel resto d’Italia, coltivati insieme ad associazioni affini. Scotto ha ricordato che attualmente non c’è un mercato delle paglie e, che quindi, lui personalmente ha perso quintali per ettaro di biomassa. Ha sottolineato che i due impianti realizzati da Assocanapa, anche se funzionanti, renderebbero ugualmente impossibile la vendita delle paglie in quanto i costi di trasporto andrebbero dalle 300 alle 500€ per ettaro, superando il valore delle paglie stesse; e quindi più conveniente perderle lasciandole sul terreno.

Discorso simile con il seme che rende dalle 300 alle 400€ per ettaro, se viene venduto direttamente in campo, altrimenti se deve essere pulito ed asciugato, non risulta più conveniente neppure raccogliere.

Scotto ha inoltre ricordato che si è persa la “qualità italiana” e, a tal proposito, suggerisce la creazione di un organo di controllo che stabilisca cosa è droga e cosa no, veramente capace di farsi valere in una realtà internazionale in cui i coltivatori italiani non possono vendere le infiorescenze, mentre all’estero un estratto da fiori, a livello di olio, rende 230 euro per soli 10 ml; estratto che da noi è vietato nonostante presenti solo l’1% di THC, ma ben il 12% di CBD (legale).

Si ribadisce la necessità di creare bioplastiche che potrebbero essere leve rilevanti per ribaltare la situazione economica italiana.

Tra i vari chiarimenti richiesti dagli onorevoli presenti, merita d’essere riportata la domanda dell’On. Benedetti che ha richiesto se esiste già qualcuno interessato alla filiera della carta, data l’enorme resa di cellulosa che da la canapa. In realtà, ancora nessuno, si sta dedicando nello specifico a tale aspetto.

In conclusione sono stati evidenziati i seguenti problemi che rappresentano il reale limite allo sviluppo della filiera della canapa in Italia:

Eccessivi limiti nella libertà di vendita del prodotto coltivato, che sia seme o fibra, mentre è illogicamente vietata la vendita del fiore che ha livelli di THC inferiori al massimo consentito, ma ottimi livelli di CBD.

Mancanza di strutture specifiche per la trasformazione e la lavorazione della canapa.

Inequivocabile disparità di trattamento per il canapicoltore soprattutto in merito alle norme che impongono contratti con i primi trasformatori e la mancanza di una normativa che regolamenti i trasporti dei derivati della canapa, infiorescenze in primis.

Necessità di realizzare una campagna pubblicitaria, a livello nazionale, che informi su tutti i derivati della canapa e le loro qualità; in contrapposizione della disinformazione attuata dal regime proibizionista.

(Qui il link del video dell’audizione alla Camera del 19/11/2014)

Giuseppe Nicosia

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