Controlli su coltivazioni e infiorescenze di canapa: la versione dell’avvocato Bulleri

Canapicoltura CBD e cannabis light Senza categoria //

Pubblichiamo qui sotto un articolo a firma dell’avvocato Giacomo Bulleri (www.studiolegalebulleri.eu), che racconta ed analizza la normativa attuale sui controlli delle coltivazioni di canapa da parte delle forze dell’ordine. 

Dopo quasi due anni dall’entrata in vigore della legge n. 242/2016 la quale, nonostante alcune lacune, ha sicuramente contribuito a dare un notevole impulso alla filiera, appare opportuno soffermarci sulla tematica dei controlli sulla canapa.

La disciplina dei controlli, a prima vista, sembrerebbe enunciata in maniera piuttosto chiara  dell’art. 4 della L. n. 242/2016 sia sotto il profilo soggettivo (i soggetti competenti) sia sotto il profilo oggettivo (metodologia di campionamento ed analisi).

  1. Il Corpo forestale dello Stato e’ autorizzato a effettuare i necessari controlli, compresi i prelevamenti e le analisi di laboratorio, sulle coltivazioni di canapa, fatto salvo ogni altro tipo di controllo da parte degli organi di polizia giudiziaria eseguito su segnalazione e nel corso dello svolgimento di attivita’ giudiziarie.
  2. Il soggetto di cui al comma 1 svolge i controlli a campione secondo la percentuale annua prevista dalla vigente normativa europea e nel rispetto delle disposizioni di cui all’articolo 1, commi 1 e 2, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 116.
  3. Nel caso di campionamento eseguito da parte del soggetto individuato dal soggetto di cui al comma 1, le modalita’ di prelevamento, conservazione e analisi dei campioni provenienti da colture in pieno campo, ai fini della determinazione quantitativa del contenuto di tetraidrocannabinolo (THC) delle varieta’ di canapa, sono quelle stabilite ai sensi della vigente normativa dell’Unione europea e nazionale.
  4. Qualora gli addetti ai controlli, ai sensi del comma 1 reputino necessario effettuare i campionamenti con prelievo della coltura, sono tenuti a eseguirli in presenza del coltivatore e a rilasciare un campione prelevato in contraddittorio all’agricoltore stesso per eventuali controverifiche.
  5. Qualora all’esito del controllo il contenuto complessivo di THC della coltivazione risulti superiore allo 0,2 per cento ed entro il limite dello 0,6 per cento, nessuna responsabilita’ e’ posta a carico dell’agricoltore che ha rispettato le prescrizioni di cui alla presente legge.
  6. Gli esami per il controllo del contenuto di THC delle coltivazioni devono sempre riferirsi a medie tra campioni di piante, prelevati, conservati, preparati e analizzati secondo il metodo prescritto dalla vigente normativa dell’Unione europea e nazionale di recepimento.
  7. Il sequestro o la distruzione delle coltivazioni di canapa impiantate nel rispetto delle disposizioni stabilite dalla presente legge possono essere disposti dall’autorita’ giudiziaria solo qualora, a seguito di un accertamento effettuato secondo il metodo di cui al comma 3, risulti che il contenuto di THC nella coltivazione e’ superiore allo 0,6 per cento. Nel caso di cui al presente comma e’ esclusa la responsabilita’ dell’agricoltore”

Sotto il profilo soggettivo i soggetti deputati ad eseguire i controlli sono i Carabinieri Forestali, salvo “ogni altro tipo di controllo da parte degli organi di polizia giudiziaria”.

Tale dicitura, al confronto con la prassi, ha dimostrato di rappresentare una nota dolente che presenta intrinsecamente alcune evidenti contraddizioni in termini.

Nella prassi l’esecuzione dei controlli sulle coltivazioni è stata eseguita dai Carabinieri Forestali in pochi casi, mentre la maggioranza è stata eseguita da Polizia di Stato, Carabinieri o Guardia di Finanza, spesso – purtroppo – con l’adozione di metodi inquisitori che denotano come la questione culturale del fenomeno canapa non sia ancora stata ben colta nel nostro Paese.

In alcuni verbali di perquisizione degli agricoltori si legge come l’intervento degli organi di polizia sia stata il frutto di segnalazioni da parte di terzi (vicini, passanti ecc.) o di una non meglio precisata attività di indagine.

Purtroppo si sono verificati episodi in cui gli organi di polizia si sono completamente discostati dal dettato normativo, nonostante l’esibizione della documentazione attestante la natura di canapa industriale della coltivazione da parte degli agricoltori.

La norma, quindi, ad una prima analisi, sembrerebbe aver fatto regredire il sistema rispetto al periodo precedente all’entrata in vigore della L. n. 242/2016 quando i controlli erano eseguiti dai funzionari del CREA (ex CRA-ICI) che eseguivano con dovizia e competenza tecnica i controlli ben consci dell’attività e della metodologia da impiegare.

Viceversa l’annata agraria 2018 ha visto l’esecuzione di controlli da parte di inquirenti che erano molto più vicini ad operazioni volte alla repressione degli stupefacenti piuttosto all’esecuzione di controlli che – come vedremo più avanti – perseguono una logica e delle finalità ben differenti.

Anzi, probabilmente il problema centrale sta proprio in questo. I soggetti deputati ai controlli (a differenza dei funzionari del CREA) non hanno evidentemente la dovuta formazione tecnica necessaria per l’esecuzione dei controlli sulle coltivazioni di canapa industriale sia per quanto riguarda il campionamento sia per quanto riguarda la metodologia di analisi dei campioni prelevati.

E ciò ha trovato inevitabilmente conferma nella prassi: campioni prelevati in maniera non conforme ai regolamenti comunitari, utilizzo di materiali non idonei, analisi eseguite senza il rispetto dei protocolli internazionali ed il risultato di tutto ciò è stato – in alcuni casi – risultati abnormi di principio attivo ed il conseguente sequestro e distruzione delle coltivazioni ai sensi dell’ultimo comma della L. n. 242/2016.

Ovviamente occorre anche menzionare i molti casi in cui gli organi di polizia hanno invece ben compreso la natura delle coltivazioni ed hanno adottato le dovute cautele a tutela del raccolto e dell’investimento degli imprenditori agricoli.

Occorre precisare come lo scopo del presente articolo non è quello di criticare aprioristicamente l’operato degli organi di polizia, bensì quello di ricercare la ratio della normativa, elemento imprescindibile per uniformare il sistema dei controlli ed evitare quelle differenze interpretative nelle modalità di esecuzione degli stessi da caso a caso e da zona a zona.

La norma sopra menzionata, infatti, cela al suo interno le finalità e la corretta metodologia di campionamento ed analisi della canapa.

Innanzitutto occorre partire da un assunto.

Il sistema dei controlli sulla canapa industriale non è finalizzato alla repressione della produzione di sostanze illegali.

Come noto la vigente normativa internazionale e nazionale esclude che la canapa dal novero delle sostanze stupefacenti. In tale contesto la legge n. 242/2016 si pone come lex specialis rispetto al T.U. Stupefacenti con la conseguenza di escludere la canapa industriale dalle varie norme che regolano il sistema sanzionatorio degli stupefacenti.

Non a caso, anche nell’ipotesi di sforamento del limite dello 0,6% l’ultimo comma dell’art. 4 sopra cit. tiene a precisare come anche in tale caso resta esclusa la responsabilità dell’agricoltore che abbia rispettato le prescrizioni di legge (ossia la conservazione del cartellino delle sementi e la fattura di acquisto).

Sul punto è opportuno aprire una breve parentesi. La comunicazione di avvenuta semina al locale posto di Pubblica Sicurezza prevista dalla circolare n. 1/2002 del MIPAAF è obbligatoria soltanto ai fini dell’accesso al sistema degli aiuti comunitari PAC, mentre alcun obbligo incombe tout court sul coltivatore di canapa industriale se non è interessato al premio PAC.

Va detto che nella prassi tale comunicazione ha dimostrato di rappresentare un valido strumento sul piano dell’opportunità e della trasparenza e collaborazione con le Forze dell’Ordine. Nella prassi, infatti, consente agli organi di polizia di essere consapevoli che una determinata azienda agricola è dedita alla canapicoltura fungendo anche da deterrente per quell’attività di indagine che ha generato quei controlli inquisitori di cui sopra.

Appare pertanto assolutamente consigliabile mantenere la prassi di comunicare l’avvenuta semina in moda da creare un clima di collaborazione e trasparenza con le Forze dell’Ordine.

Ma non solo. Tale comunicazione consente anche di determinare con certezza la superficie coltivata a canapa in uno Stato membro, rilevate ai fini della determinazione delle percentuali di cui al Reg. UE n. 1155/2017, come meglio precisato infra.

Ma allora quale è la ratio della normativa che sovrintende al sistema dei controlli?

La ratio consiste nel garantire la tracciabilità e la stabilità delle varietà di canapa regolarmente iscritte negli appositi registri. I controlli hanno il fine di acquisire dati sulle coltivazioni in modo da comprendere come una determinata varietà reagisce in un determinato territorio in modo da consentire eventuali depennamenti di varietà che in alcuni Paesi dell’UE – anche per motivi climatici – non sono evidentemente in grado di rispettare il limite comunitario dello 0,2%.

Da un punto di vista tecnico-agronomico, infatti, i livelli di THC risultano fortemente influenzati dagli sbalzi termici che possono variare a seconda della stagione che si verifica in una determinata zona climatica.

Non a caso la normativa comunitaria, espressamente richiamata dall’art. 4 della L. n. 242/2016, prevede che i controlli siano eseguiti su una percentuale variabile tra il 20% ed il 30% dell’intera superficie coltivata a canapa in un Paese in modo da ottenere valori medi che risultino indicativi dell’adattabilità e della reazione di una cultivar in un territorio.

In caso di sforamento, infatti, la conseguenza non è di tipo sanzionatorio in sede penale.

La conseguenza dello sforamento – che deve essere valutato su una media dei campioni di una medesima varietà in un Paese – è il depennamento dai registri di quella varietà, qualora abbia superato i valori di legge per due anni consecutivi e previa autorizzazione da parte della Commissione Europea.

Ciò è quanto già accaduto in Germania, la quale è stata autorizzata a vietare nel proprio territorio la commercializzazione di due varietà di canapa industriale: Bialobrzeskie e Carmagnola.

Nello specifico quanto sopra detto è rilevabile dalla decisione della Commissione Europea datata 25/07/2013 con la quale la UE ha autorizzato la Germania a proibire la commercializzazione di tali due genetiche e dalla quale si evince che:

– Il 15 novembre 2012 la Commissione ha ricevuto dalla Germania una richiesta di autorizzazione a vietare la commercializzazione delle varietà di canapa Bialobrzeskie e Carmagnola, perché il loro tenore di THC è risultato per la seconda campagna consecutiva superiore al tenore autorizzato dello 0,2 %.

– La Germania è autorizzata a vietare la commercializzazione delle varietà di canapa Bialobrzeskie e Carmagnola in qualsiasi parte del proprio territorio.

Da talo logica consegue che lo scopo dei controlli non è quello di verificare i limiti di THC per prevenire potenziali stupefacenti, bensì raccogliere dati sulle varie cultivar che possano essere valutati su scala nazionale da ogni Paese e dalla Commissione Europea.

Tali considerazioni sono implicitamente condivise dalla L. n. 242/2016 stessa nel momento in cui richiama i regolamenti comunitari che perseguono tali finalità.

L’art. 4 della L. n. 242/2016 stabilisca, con estrema chiarezza, come gli agenti accertatori nell’eseguire i controlli sulle coltivazioni di canapa sativa L. debbano attenersi alle prescrizioni comunitarie che, nello specifico, sono contenute nell’allegato I del Regolamento delegato della Commissione n. 1155/2017 del 15.02.2017 che ha modificato il Regolamento delegato n. 639/2014.

Tale allegato prevede due differenti procure di controllo:

  1. Procedura A che si applica alle produzioni di canapa di cui all’art. 32, par. 6, Reg. UE n. 1307/2013 (ossia le coltivazioni di canapa industriale con i requisiti previsti anche dalla L. n. 242/2016) e di cui all’art. 30, lett. g) del Regolamento di esecuzione n. 809/2014 della Commissione, il quale prevede che il campione di controllo debba riguardare “il 30 % delle superfici dichiarate per la produzione di canapa a norma dell’articolo 32, paragrafo 6, del regolamento (UE) n. 1307/2013”.
  2. Procedura B che si applica alle produzioni di canapa industriale di cui sopra e di cui all’art. 36, par. 6, del regolamento di esecuzione n. 809/2014 della Commissione, il quale prevede che “In deroga all’articolo 30, lettera g), quando uno Stato membro introduce un sistema di autorizzazione preventiva per la coltivazione della canapa, il livello minimo dei controlli in loco può essere ridotto al 20 % delle superfici dichiarate per la produzione di canapa di cui all’articolo 32, paragrafo 6, del regolamento (UE) n. 1307/2013”.

Stante quanto sopra, poiché l’art. 2 della L. n. 242/2016 esclude ogni forma di autorizzazione preventiva, nel nostro Paese il sistema dei controlli deve essere regolato secondo la procedura A, ossia deve riguardare almeno il 30% della superficie dichiarata per la produzione di canapa.

Appare evidente pertanto la rilevanza di conoscere con esattezza la superficie coltivata a canapa in ogni Stato membro ai fini della corretta attuazione del sistema dei controlli. Viceversa, laddove non si hanno dati sulle coltivazioni di canapa industriale, inevitabilmente dovranno emergere quelle esigenze di tutela dell’ordine pubblico a varie riprese palesate dal Ministero dell’interno e che, conseguentemente, sono alla base dei quelle operazioni di indagine che hanno portato alle distorsioni nel metodo dei controlli di cui abbiamo parlato sopra.

Il Regolamento n. 1155/2017 fornisce poi anche importanti indicazioni per quanto riguarda la metodologia e le tempistiche di campionamento:

2.1 “Il prelievo deve essere effettuato di giorno, secondo un percorso sistematico in modo che il campione raccolto sia rappresentativo della particella, esclusi i bordi”

2.1.1. In una popolazione di una determinata varietà di canapa si preleva un aprte di 30 cm contenente almeno un’infiorescenza femminile per ogni pianta selezionata. Il prelievo deve essere effettuato durante il periodo compreso tra il ventesimo giorno successivo all’inizio e il decimo giorno successivo alla fine della fioritura”

Il Regolamento cit. indica anche (sempre per quanto riguarda la procedura A che è quella applicabile in Italia) come il campione debba essere costituito da prelievi effettuati su 50 piante per particella.

Ma non solo. Il Regolamento prevede anche indicazioni su:

  1. a) Metodologia di raccolta e dimensioni del campione per assicurare la successiva esecuzione delle analisi e per la tutela del diritto al contraddittorio.

“Ogni campione viene posto, in modo da evitare che venga schiacciato, in un sacco di tela o di carta e successivamente è inviato al laboratorio di analisi”. A ciò si aggiunge il prelievo di un secondo campione per l’esecuzione delle eventuali controanalisi da parte dell’agricoltore, come previsto dall’art. 4, c. 4 L. n. 242/2016;

  1. b) Essiccazione e conservazione del campione per garantire contaminazioni che potrebbero inficiare il risultato delle analisi.

“L’essiccazione dei campioni deve iniziare appena possibile e comunque entro le 48 ore, indipendentemente dal metodo, a una temperatura inferiore a 70°. I  campioni devono essere essiccati sino al raggiungimento di un peso costante, con umidità compresa tra l’8% e il 13%. I campioni essiccati devono essere conservati, non compressi, al buio e auna temperatura inferiore a 25°”

Tali indicazioni rappresentano pertanto uno degli aspetti su cui probabilmente vi è da lavorare per la formazione del personale deputato all’esecuzione dei controlli, dal momento che la normativa vigente NON prevede in alcun caso l’estirpazione di piante o la raccolta in sacchi di plastica per i rifiuti, come purtroppo nella prassi si è verificato.

Occorre ribadire come lo scopo non è quello di reprimere un’attività illegale, bensì prelevare campioni per eseguire analisi di laboratorio che in ogni caso non potranno portare all’incriminazione del produttore, neppure in caso di sforamento del limiti dello 0,6%. Non vi è pertanto alcun motivo l’adozione di sistemi e condotte che rischiano di recare un gravissimo ed irreparabile pregiudizio per l’agricoltore che ha investito nel proprio raccolto.

Ad onor del vero anche la circolare del Ministero dell’Interno del 31.07.2018 riconosce le tutele di cui sopra nei confronti dell’agricoltore, nonché l’esigenza di tutela del raccolto e dell’investimento.

Passando alla trattazione della metodologia di esecuzione delle analisi occorre evidenziare come anche in questo caso la normativa comunitaria ed internazionale ci viene in soccorso con indicazioni e protocolli ben assodati i quali, purtroppo, in molti casi vengono disattesi.

Il regolamento UE n. 1155/2017, all’allegato I, enuncia la metodologia di Determinazione del tenore di THC elencando le varie fasi del procedimento:  Preparazione del campione per la prova, Reattivi e soluzione di estrazione, Estrazione del THC, Cromatografia in fase gassosa e Risultati.

“Dai campioni essiccati (ut supra ndr) devono essere eliminati gli steli e i semi di lunghezza superiore ai 2 mm. I campioni essiccati sono triturati sino a ottenere una polvere (che passi attraverso un setaccio con maglie della larghezza di 1 mm). La polvere può essere conservata al massimo per 10 settimane in ambiente asciutto, al buio e a temperatura inferiore a 25°”

Delta9-THC, cromatograficamente puro e squalane cromatograficamente puro come standard interno. Soluzione di estrazione 35 mg di squalane per 100 ml di esano

I risultati sono espressi, al secondo decimale, in grammi di THC per 100 grammi di campione di analisi, essiccato sino a peso costante. Tolleranza ammessa 0,03% in valore assoluto. Tuttavia se il risultato ottenuto supera il limite previsto (0,2% ndr) si effettua una seconda determinazione per campione di analisi e il risultato sarà quello corrispondente alla media delle due determinazioni”.

I risultati sono espressi, al secondo decimale, in grammi d THC per 100 grammi di campione di analisi, essiccato sino a peso costante. Tolleranza ammessa 0,03% in valore assoluto. Tuttavia se il risultato ottenuto supera il limite previsto (0,2% ndr) si effettua una seconda determinazione per campione di analisi e il risultato sarà quello corrispondente alla media delle due determinazioni”.

Appare pertanto evidente come il reg. UE cit., richiamato dalla L. n.242/2016 prescriva uno specifico metodo di campionamento ed esecuzione delle analisi di cui, in moltissimi casi, non vi è alcuna menzione nei referti di analisi rilasciati dai laboratori incaricati di eseguire i controlli.

A questo punto è necessario fare un ulteriore ordine di considerazioni. I controlli menzionati si applicano alle coltivazioni. Ma per quanto riguarda invece i controlli sul prodotto finito ovvero nella canapa già essiccata che circola per finalità commerciali, negli esercizi commerciali o addirittura nel prodotto rinvenuto sul consumatore? Quali sono i parametri di riferimento nell’esecuzione dei controlli?

Sul prodotto essiccato si applica il Protocollo ONU ST/NAR/40 che detta linee guida per l’identificazione e l’analisi della cannabis e dei prodotti a base di cannabis (Reccomended methods for the identification and analysis of cannabis and cannabis products. Manual for use by National Drug Analysis Laboratories, United Nations, New York, 2009., il quale prevede ed indica tutti gli aspetti qualitativi e quantitativi per l’esecuzione della analisi sulla cannabis ed i prodotti da essa derivati.

Appare opportuno che i laboratori che seguono analisi sulla canapa avessero perfetta conoscenza ed applicazione del suddetto manuale che consente di eseguire una corretta analisi sulla cannabis e derivati.

Sul versante alimentare, poi, occorre fare riferimento alle seguenti norme:

  • Per quanto attiene al campionamento di alimenti, questo deve avvenire secondo le previsioni del Reg. UE 401/2006 al fine di ottenere un campione di laboratorio significativo;
  • Per quanto attiene al metodo di analisi occorre richiamare la Raccomandazione della Commissione UE n. 2115/2016 del 1.12.2016 sul “monitoraggio della presenza di THC, dei suoi precursori e di altri derivati della cannabis negli alimenti”.

Ritornando alla tematica dei controlli, occorre ricordare come il ministero dell’Interno, con la circolare del 31.07.2018, ha sottolineato l’opportunità di far prevalere l’esigenza dell’ordine pubblico rispetto alla canapa commercializzate nelle differenti forme (con particolare riferimento alla canapa greggia ed alla cd. “cannabis light”) stante l’impossibilità di distinguere ictu oculi la canapa legale da quella illegale non potendo il clima di “presunta legalità” in cui avviene la vendita rappresentare condizione di per sè sufficiente ad escludere controlli.

Se tali considerazioni risultano indubbiamente veritiere, soprattutto per le ipotesi di vendita sfusa, priva di etichetta o in confezioni alterate, al tempo stesso sulla materia vengono in gioco altri interessi costituzionalmente rilevanti: libera iniziativa economica e libertà personale.

A parere dello scrivente la questione, per rimanere al tema del presente articolo, può essere trattata con riferimento alla metodologia di analisi da applicarsi alla canapa già essiccata e con riferimento al valore della documentazione commerciale accompagnatoria della canapa (ddt, fatture, documenti attestanti la tracciabilità, etichettatura) ponderando tali aspetti con l’indubbia esigenza di tutela dell’ordine pubblico e della salute pubblica manifestata dal ministero dell’Interno e dal CSS.

Il valore della documentazione di trasporto

Come noto il documento di trasporto o DDT è stato introdotto dal DPR n. 472/1996 ed ha lo scopo di accompagnare e certificare il trasferimento delle merci dal venditore al compratore e deve essere emesso prima della consegna o dell’affidamento al trasportatore.

Peraltro la consegna del DDT rappresenta la base per superare la presunzione di cessione di beni senza fattura che costituisce il documento definitivo che deve trovare riscontro nel DDT che la ha preceduta. Conseguentemente una merce accompagnata da regolare DDT si presume lecita.

Ai sensi dell’art. 53 DPR 633/72 infatti “Si presumono ceduti i beni acquistati, importati o prodotti che non si trovano nei luoghi in cui il contribuente esercita la sua attivita’, comprese le sedi secondarie, filiali, succursali, dipendenze, stabilimenti, negozi o depositi dell’impresa, ne’ presso i suoi rappresentanti, salvo che sia dimostrato che i beni stessi: a) sono stati utilizzati per la produzione, perduti o distrutti; b) sono stati consegnati a terzi in lavorazione, deposito o comodato o in dipendenza di contratti estimatori o contratti di opera, appalto, trasporto, mandato, commissione o altro titolo non traslativo della proprieta’.”

Il DDT deve contenere quali elementi essenziali:

  • Dati del venditore e dell’acquirente
  • Numero e data del documento
  • Quantità e descrizione dei beni trasportati
  • Dati del vettore
  • Data di inizio del trasporto

Al documento di trasporto è comunque equiparato qualsiasi altro documento, (ad esempio la nota di consegna, la lettera di vettura, la polizza di carico ecc.), purchè lo stesso contenga gli elementi essenziali sopra descritti.

A tale prospettazione occorre poi menzionare le eccezioni, quali il trasporto di beni con fatturazione immediata o con fatturazione anticipata rispetto al trasporto, trasporto con più vettori, trasporto promiscui non assoggettati all’obbligo della bolla di accompagnamento, il trasporto per beni in conto lavorazione e la cessione di beni da parte di agricoltori esonerati ai sensi dell’art. 34 terzo comma D.P.R. 633/72.

Il trasporto di tabacchi, fiammiferi, nonche’ dei prodotti soggetti ad accise, ad imposta di consumo od al regime di vigilanza fiscale di cui agli artt. 21, 27 e 62 del D.Lgs. 26 ottobre 1995, n. 505, risulta tuttora assoggettato all’obbligo di emissione di uno specifico documento di accompagnamento.

Si precisa che, qualora il trasporto dei suddetti beni interessi anche aItri beni per i quali non sussiste il predetto obbligo, nei documenti stessi possono, agli effetti di cui al comma 3 dell’articolo unico del D.P.R. n. 472 del 14 agosto 1996, essere inclusi anche i suddetti altri beni nella considerazione che i predetti documenti di accompagnamento contengono, oltre agli elementi richiesti dal ripetuto comma 3, anche ulteriori, dettagliate indicazioni.

Nell’ipotesi di trasporto di beni ceduti dagli agricoltori esonerati dagli obblighi contabili, di cui all’art. 34, terzo comma, del D.P.R. n. 633 del 1972, i beni viaggiano senza  documento di trasporto in quanto l’obbligo di provvedere all’emissione del documento di trasporto (d.d.t.) ricade sul cessionario, sempre che questi intenda avvalersi della fatturazione differita. Naturalmente in caso di fatturazione immediata il cessionario deve procedere soltanto all’autofatturazione, non essendo prescritta alcuna specifica documentazione per la movimentazione dei beni.

Si precisa, altresi, che, il documento di trasporto (d.d.t), utilizzato per i conferimenti dei prodotti agricoli agli enti, cooperative od altri organismi associativi, puo’ essere emesso dai suddetti organismi, analogamente a quanto gia’ previsto dall’articolo 34, settimo comma, in materia di emissione della fattura. In tal caso uno degli esemplari deve essere rilasciato al soggetto conferente e conservato da quest’ultimo ai sensi dell’articolo 39, terzo comma del D.P.R. n. 633 del 1972.

Per quanto riguarda poi i trasporti effettuati dai produttori agricoli dal luogo di produzione ai mercati all’ingrosso e al dettaglio si fa presente che le disposizione recate dal D.P.R. n. 472 del 1996 non prevedono l’emissione di un documento di trasporto o di consegna in quanto tale documento, nell’ipotesi di fatturazione differita, deve essere emesso al momento dell’effettuazione dell’operazione di vendita presso il mercato.

Stante quanto sopra, indipendentemente dalle note problematiche circa l’inquadramento merceologico di alcuni prodotti a base di cannabis (in primis quelli ad uso “tecnico”), è sicuramente consigliabile accompagnare ogni trasporto da DDT regolarmente compilato, nonché da copia attestante la tracciabilità del prodotto (cartellino, fattura acquisto sementi, eventuali analisi di laboratorio attestanti il rispetto dei limiti di THC di legge).

Purtroppo, nella prassi, nonostante tali accorgimenti ed il rispetto delle previsioni normative sul trasporto, abbiamo assistito all’esecuzione di controlli che hanno sequestrato sic et simpliciter l’intero carico (o interi magazzini) al fine di eseguire analisi di laboratorio per la verifica del rispetto dei limiti di THC recando un gravissimo pregiudizio agli operatori del settore, soprattutto in quelle ipotesi in cui la canapa viene movimentata per esigenze di lavorazione che richiede tempi rapidi per il compimento, pena l’inutilizzabilità della canapa.

Anche in questo caso il problema di fondo è il medesimo evidenziato per quanto riguarda i controlli sulle coltivazioni: ossia l’equivoco di applicare modalità operative proprie della repressione degli stupefacenti anziché relative a semplici operazioni commerciali.

Appare infatti evidente come in presenza di regolare documentazione di trasporto e contabile attestante la tipologia di merce (che come più volte detto NON è una sostanza stupefacente) non risulta legittimo procedere ad un sequestro preventivo al fine di eseguire analisi per verificare i limiti di THC.

Se infatti gli organi di polizia hanno tutto il diritto-dovere di procedere ad accertamenti sulla canapa ed i suoi derivati al fine di garantire e tutelare l’ordine e la salute pubblica, al tempo stesso non è ammissibile recare pregiudizi economici agli operatori commerciali.

Anche in questo caso è necessario operare una corretta ponderazione degli equilibri e dei diritti costituzionalmente garantiti in gioco.

In tale ottica appare opportuno che in caso di controlli su prodotti a base di canapa in trasporto gli organi di polizia provvedano a prelevare un campione con la contestuale annotazione dei dati del mittente e del destinatario. Successivamente alle analisi (che nella quasi totalità dei casi pratici sono risultati entro i limiti di legge) si potranno adottare i provvedimenti del caso, anche sanzionatori laddove tali limiti siano superati.

Viceversa la prassi ha dimostrato il verificarsi di un clima di estremo pregiudizio verso un settore in forte crescita che ha finito per determinare il moltiplicarsi dei contenziosi giudiziali, sia in sede di riesame per ottenere il dissequestro della merce sia in sede civile per ottenere il risarcimento del danno.

Sul punto, infatti, occorre tenere in considerazione la posizione della giurisprudenza di merito che in moltissimi casi ha disposto la revoca del sequestro della merce. Fortunatamente alcuni Tribunali dimostrano di aver ben compreso le criticità del settore e sembrerebbero aver recepito i principi sopra esposti circa il valore della documentazione accompagnatoria della canapa (tra tutti si richiama Trib. Ancona, sez. riesame, ord. 5.10.2018 che ha revocato un sequestro di canapa greggia disponendo la restituzione al destinatario previa estrazione di un campione per l’esecuzione dei controlli).

Analoghe considerazioni valgono per quanto riguarda l’esecuzione di controlli presso gli esercizi commerciali in cui oggetto di controllo sono prodotti confezionati ed etichettati. Prescindendo dalle note problematiche circa la destinazione di utilizzo di prodotti ad “uso tecnico” – che comunque molti Tribunali di merito hanno legittimato ritenendo tali prodotti implicitamente ricompresi nella L. n. 242/2016 – anche in questo caso abbiamo assistito a casi di sequestri indiscriminati di interi magazzini per le stesse motivazioni di cui sopra, mentre in altri casi si è assistito a contestazioni di carattere amministrativo inerenti l’etichettatura dei prodotti.

In merito ai sequestri preventivi è sufficiente richiamare le considerazioni di cui sopra circa l’opportunità di procedere al sequestro di campioni di prodotti anziché di tutti quelli presenti in negozio al fine di eseguire i dovuti controlli sul rispetto dei limiti di THC.

Per quanto riguarda le contestazioni circa l’etichettatura non conforme alle previsioni dell’art. 6 del D.Lgs. n. 209/2005 (cd. Codice del Consumo) tale problematica può essere definitivamente risolta soltanto nel momento in cui avremo una maggiore chiarezza circa la destinazione di utilizzo dei prodotti.

Sul punto, allo stato, in pendenza di moltissimi procedimenti in sede amministrativa, si può solo richiamare la decisione dell’Autorità Garante della Concorrenza del Mercato che ha archiviato un procedimento istruttorio non rilevando nei prodotti ad uso tecnico alcun profilo di ingannevolezza per il consumatore.

Concludendo appare evidente come le tematiche della corretta metodologia dell’esecuzione dei controlli e delle successive analisi rappresentino un aspetto estremamente rilevante e molto attuale.

Ciò a maggior ragione se consideriamo i risvolti socio-politici su cui la questione può incidere. La materia può davvero costituire un banco di prova per dimostrare finalmente quella logica e buon senso nella ponderazione di interessi differenti costituzionalmente garantiti, contribuendo a creare un sistema certo sia sotto il profilo sostanziale sia sotto il profilo delle procedure operative.

Probabilmente, al fine di evitare il ripetersi di interpretazioni difformi e metodi non in linea con il dettato normativo, è opportuno – e necessario – operare in una triplice direzione:

  1. Incentivare l’attività di formazione, peraltro già prevista dall’art. 8 della L. 242/2016. Soltanto una adeguata formazione e preparazione tecnica può consentire di superare la diffidenza culturale nei confronti della canapa; formazione estesa sia ai soggetti deputati all’esecuzione dei controlli (organi di polizia) che ai laboratori analisi che vengono incaricati di eseguire tali controlli;
  2. Armonizzare la normativa esistente con particolare riferimento allo sviluppo di coltivazioni destinate alla produzione delle infiorescenze.

La normativa sin qui esaminata è infatti stata coniata sulla tradizionale destinazione a fibra o seme della canapa. La diffusione di coltivazioni incentrate sulla produzione del fiore pone la necessità di estendere tale disciplina anche a tali colture (sempre di canapa sativa L. si tratta).

Ma a tal fine non necessariamente vi è il bisogno di ulteriori interventi legislativi, piuttosto può essere sufficiente ottimizzare la normativa esistente.

Da un lato chiaro occorre censire tutte le superfici – indoor o outdoor – destinate a canapa. Per questo è necessario istituire appositi registri oppure “modernizzare” la prassi della comunicazione di semina in modo da tracciare e censire la canapicoltura, elemento che come abbiamo visto va ad incidere sul sistema dei controlli in modo che la comunicazione non sia appannaggio soltanto di coloro che chiedono il premio PAC.

La possibilità destinare la canapa al florovivaismo ai sensi dell’art. 2 lett. g) ha infatti esteso la facoltà di coltivare canapa in serre o vivai per soggetti che non chiedono il premio PAC non lavorando su superfici estese outdoor ma in ambienti protetti indoor.

E’ sufficiente inquadrare il soggetto deputato a tenere tali registri che potranno essere liberamente consultati dalle Autorità competenti in modo anche da snellire le comunicazioni con le Istituzioni Europee ai fini dell’aggiornamento del Catalogo della specie delle piante agricole.

  1. Standardizzare le procedure ed affinare i protocolli esistenti in modo da creare un sistema uniforme in tutto il Paese ed evitare interpretazioni difformi che minano la certezza del diritto.

Avvocato Giacomo Bulleri (www.studiolegalebulleri.eu)

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