THC negli alimenti: le diverse criticità della bozza di decreto

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Il ministero della Salute ha presentato agli addetti lavori la bozza del decreto che dovrebbe regolare il quantitativo di THC massimo che potrà essere contenuto dai derivati della canapa industriale. Per il momento si tratta solo di una bozza, quindi di un documento preliminare suscettibile di modifiche prima dell’approvazione finale.

Secondo gli addetti ai lavori i problemi sembrano essere principalmente due: il fatto che per l’olio di canapa ottenuto tramite spremitura a freddo dei semi, i limiti di THC sembrano essere troppo bassi, ed in secondo luogo il fatto che nella lista degli alimenti vengano compresi semi, farina ed olio, trascurando ancora una volta le infiorescenze. Oltre al fatto che il decreto è indirizzato solamente ai prodotti realizzati in Italia, escludendo quindi quelli di importazione che vengono in questo modo indirettamente favoriti.

“Abbiamo mandato delle osservazioni al ministero della Salute”, ci ha raccontato il presidente di Federcanapa Beppe Croce, spiegando che: “Secondo noi la cosa più preoccupante è il limite previsto per l’olio derivato dalla spremitura dei semi, che è il prodotto principale della filiera alimentare. Il limite che è stato posto per l’olio è come quello tedesco di 5 milligrammi per chilogrammo che è il più restrittivo. Rispetto al Canada o alla Svizzera sono limiti molto rigidi. Il problema è che soprattutto nei nostri climi, con le estati siccitose come quelle degli ultimi anni ed utilizzando le nostre varietà, abbiamo un rischio molto elevato di superare questo limite, oltretutto poco rilevabile dagli strumenti di rilevazione. La nostra raccomandazione è quello di portarlo almeno a 10 milligrammi per chilogrammo come propone l’EIHA”.

Il riferimento è alle linee guida pubblicate proprio in questi giorni dall’European Industrial Hemp Association, che sottolinea come i limiti tedeschi siano troppo rigidi e che tenendo conto anche della posizione dell’EFSA (l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare) il limite accettabile sarebbe quello di 10 milligrammi di THC per chilogrammo.

“Sui derivati del seme”, continua Croce, “non abbiamo niente da dire, ma c’è un’altra grossa omissione che riguarda le tisane e le bevande aromatizzate (ad esempio la birra, ndr), previste nella legislazione tedesca ed in una vecchia circolare dell’Unione Europea”. Il riferimento è al fatto che il decreto nel descrivere gli alimenti derivati dalla canapa cita solo “semi, farina ottenuta dai semi, olio ottenuto dai semi”, senza citare le infiorescenze che non erano state normate nemmeno nelle legge nazionale. “I nostri ministeri fanno finta che le infiorescenze non esistano”, puntualizza Croce spiegando che: “Sarebbe più salutare per tutti riconoscere e regolamentare l’uso delle infiorescenze in ambito alimentare”.

“E’ un atteggiamento che non capisco: in Europa dove l’atteggiamento è più permissivo non è mai successo nulla, quindi non capisco quale sia il timore nello scegliere delle soglie così basse”. E’ l’opinione di Giampaolo Grassi, primo ricercatore del Crea-Cin di Rovigo che spiega: “Dovremmo lasciare le aziende italiane libere di poter fare il proprio lavoro ed il problema sulle soglie penso derivi da una rigida mentalità del legislatore. Inoltre non capisco perché ci si debba incaponire con il fatto che solo il seme possa essere utilizzato come alimento, tralasciando fiori e foglie: in questo modo si tagliano le gambe a tutte le bevande ed a tutti i prodotti aromatizzati con l’olio essenziale che non ha nulla di pericoloso”.

Critica anche la posizione di Assocanapa che ritiene la bozza “asseritamente ispirata ad un principio di precauzione che ci risulta incomprensibile alla luce delle conoscenze scientifiche e della legge 242/2016 la quale postula per le varietà di canapa iscritte nel Catalogo Europeo delle Piante Agricole non l’approccio riservato alla droga ma bensì l’approccio comunemente dovuto agli alimentari”.

Altro problema evidenziato da più parti è relativo all’articolo 7 della bozza di decreto, che dice: “Le disposizioni del presente decreto non si applicano ai prodotti legalmente fabbricati e/o commercializzati in altro Stato membro dell’Unione europea o in Turchia, ovvero legalmente fabbricati in uno degli Stati firmatari dell’Associazione europea di libero Scambio (EFTA), parte contraente dell’accordo sullo spazio economico europeo (SEE), purché garantiscano un livello equivalente di protezione della salute”. Una norma che potrebbe favorire i prodotti esteri, specialmente quelli provenienti da Paesi come la Cina, dove la produzione di canapa e derivati è in crescita ma non sono presenti controlli sui prodotti agroalimentari che possono essere paragonati a quelli europei. Già oggi in diverse catene e supermercati vendono olio di canapa di provenienza non UE, per il costo più basso: il timore è che questa specifica possa favorire ulteriormente questo genere di prodotti insieme agli altri che vengono importati.

“Ho ricevuto parecchie segnalazioni e c’è un malcontento generale”, ci ha detto Loredana Lupo, parlamentare del M5S e prima firmataria della legge sulla canapa industriale in vigore da quest’anno, spiegando che: “Entro il 15 ottobre tutte le osservazioni perverranno al ministero della Salute che potrà apportare le modifiche necessarie e poi ci sarà la revisione dell’Istituto Superiore di Sanità”. Riguardo alle possibili tempistiche: “Essendo una norma tecnica i documenti sarà inviati a Bruxelles e ci vorranno 3 mesi per avere un parere a riguardo. Nei 3 mesi successivi potrebbe poi essere emanata la norma, quindi ci vorranno ancora 6 o 7 mesi”.

Mario Catania

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