La canapa antiproiettile che resiste alle radiazioni

Innovazione e altri usi //
In questo articolo
1 / La fibra di canapa come antiproiettile
2 / Un filo rosso dalle armature Etrusche in canapa fino ad oggi
3 / La canapa contro le radiazioni
4 / Super canapa: gli altri utilizzi possibili

Usata da anni in campo medico e oggi presente anche nel mondo della cosmesi e dell’alimentazione, la canapa è una materia prima versatile e utilizzabile in tutte le sue parti, dai semi in cucina alle fibre nell’industria del tessile.

L’utilizzo a trecentosessanta gradi e senza sprechi e la sostenibilità delle colture, che necessitano di meno acqua e meno spazio rispetto a quelle tradizionali, la rendono un materiale eccezionale sotto moltissimi punti di vista, nonché adatto ai settori più disparati, come quello militare e della sicurezza pubblica e privata. 

La fibra di canapa come antiproiettile

Come già confermato dall’industria tessile, dove la canapa viene utilizzata da anni per la realizzazione di tessuti e materiali destinati alla moda e all’arredamento, questa fibra naturale è incredibilmente resistente

Se combinata con altri materiali, inoltre, si può rivelare una valida alternativa a materie prime diametralmente opposte, come l’acciaio, aprendo così le porte a interessanti utilizzi come quello legato al settore della sicurezza pubblica e privata.

L’intuizione non è nuova. Già nel 1941, infatti, Henry Ford presentò al pubblico un’auto con parti create con un materiale composito molto simile alla plastica, leggero, economico, ma robusto, e realizzato con fibre di canapa. Per testarne la resistenza, Ford colpì il veicolo con un’ascia non causando danni. Da qui una considerazione vincente: il materiale avrebbe potuto essere usato anche per la protezione degli esseri umani e, in particolare, per la realizzazione di giubbotti antiproiettile

Solitamente rinforzati con acciaio o Kevlar, una fibra sintetica utilizzata anche negli aeroplani, i giubbotti antiproiettile tradizionale sono pesanti (fino a 15 kg), spessi e scomodi e, dunque, poco pratici soprattutto in caso di azioni rapide. Il Kevlar, inoltre, non è un materiale sostenibile e sicuro per l’ambiente o per l’uomo, perché per realizzarlo vengono usate sostanze pericolose, come l’acido solforico, per non parlare degli aspetti economici. 

Per ovviare a questi limiti, numerose aziende, dalla Turchia ai Paesi Bassi, hanno brevettato giubbotti antiproiettile realizzati con materiali compositi e, in particolare, con fibre di canapa, resina e soluzioni enzimatiche. Il risultato è un giubbotto fino a 20 volte più leggero, ma ugualmente resistente, nonché antiradiazioni.

Un filo rosso dalle armature Etrusche in canapa fino ad oggi

Armatura Etrusca

Utilizzare la canapa per la propria difesa, è un’idea che affonda le radici nel passato. Come racconta Giovanni De Caro, ingegnere, esperto di energia, divulgatore e presiedete dell’associazione Canapa Tuscia, “in ambito militare, da una recente scoperta archeologica casuale fatta al largo delle Coste Libanesi (Fenicie in tempi antichi) è stata trovata ben conservata all’interno di un antico recipiente Etrusco per olio alimentare un’armatura in canapa multistrato. Si suppone da questa scoperta, che i famosi “Pirati Etruschi” usassero delle armature in canapa multistrato capace di resistere all’impatto di frecce e giavellotti. Ciò conferiva loro un grande vantaggio in mare: i pirati etruschi anche se colpiti e caduti in mare potevano nuotare e restare a galla a differenza dei loro nemici che indossando pesanti  armature in bronzo rischiavano di affogare. Tanto fu efficace questa armatura in canapa multistrato che fu passata dai pirati etruschi agli Hopliti, soldati a servizio permanente: avevano un addestramento costante, sostenevano il maggior peso del combattimento, combattevano compatti ed erano armati di lancia e spada e difesi da scudo, elmo e una protezione pettorale sicuramente in canapa multistrato con borchie metalliche, foderata internamente di lino, completava il tutto uno scudo esternamente rivestito di cuoio con telaio in bronzo e fibra di canapa multistrato di forma Ellittica o rettangolare”.

La canapa contro le radiazioni

Ed è proprio la capacità di assorbire le radiazioni uno degli altri punti di forza dei giubbotti antiproiettile (ma non solo) realizzati in fibre di canapa. A confermarlo numerosi studi, come quelli che hanno portato alla piantumazione della canapa in alcune aree attorno al reattore di Chernobyl prima e di Fukushima poi, protagonisti dei disastri nucleari del 1986 e del 2011. In entrambi i casi le piante sono state in grado di assorbire un’elevata percentuale di radiazioni disperse nell’ambiente.

A sfruttare questa capacità nel settore della sicurezza ci sono numerose aziende che da anni lavorano nel campo dei materiali compositi come fornitrici di industrie appartenenti ai settori più disparati, da quello aerospaziale a quello edilizio. Tra queste la turca TechnoArge, con sede a Istanbul, che vanta oltre vent’anni di esperienza sul campo, di cui tre dedicati quasi esclusivamente alle ricerche sulle fibre di canapa e sulla loro capacità di assorbire le radiazioni. Gli studi, nel loro caso, hanno portato alla realizzazione di numerosi strumenti innovativi in materiali compositi per i quali l’azienda è riuscita a ottenere brevetti internazionali validi in 144 paesi.

Obiettivo principale di queste aziende è la sicurezza del singolo anche in ambienti apparentemente sicuri e privi di radiazioni, come gli aeroporti, dove la canapa si rivelerebbe utile in particolare nell’area del controllo bagagli, dove le valige vengono sottoposte a scansione ai raggi X. Infatti uno dei prodotti dell’azienda è proprio uno scanner a raggi X, realizzato in canapa. 

Super canapa: gli altri utilizzi possibili

Oltre che nel settore militare e della sicurezza della persona, la canapa  può sfruttare queste sue caratteristiche anche nel settore dell’edilizia, dove le sue fibre rappresentano già una valida alternativa ai materiali tradizionali, garantendo dei prodotti e una lavorazione più sostenibile, e l’unica filiera costruttiva in grado di togliere CO2 dall’ambiente

Martina Sgorlon

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