Canapa tessile: la rinascita dell'”oro verde” in Europa parte dalla Normandia

Canapa economia e politica Tessile //
In questo articolo
1 / Normandia e canapa tessile: il ritorno dell'oro verde
2 / In Italia 4500 anni fa si filava la canapa
3 / Le doti sostenibili delle canapa tessile rispetto al cotone

Quella che ci aveva reso primi al mondo per qualità della nostra canapa, era proprio la fibra, dalla quale si ottenevano ad esempio corde e vele per le navi, ma anche corredi per le spose, biancheria, tende e rivestimenti per materassi e poltrone. Le navi della famosa ed imbattibile flotta britannica avevano le vele realizzate in canapa italiana, così come l’Amerigo Vespucci, ancora oggi, per statuto deve avere le vele di canapa di Carmagnola.

La stessa canapa tessile che in passato era considerata “oro verde”: un prodotto dal forte valore aggiunto lavorato in modo artigianale. La successiva diminuzione delle coltivazioni ha purtroppo impedito, tra le altre cose, anche il passaggio da una lavorazione artigianale a quella industriale meccanizzando i processi di lavorazione come la stigliatura o la macerazione. Il risultato è che oggi in Italia non esiste più una filiera per la canapa tessile.

Nei 10 anni di vita di Canapaindustriale.it abbiamo raccontato tanti esperimenti e tentativi di ricreare una moderna filiera tessile, che però si sono scontrati con i problemi più disparati e il risultato è che negli anni non è stato fatto nessun passo avanti.

Come ci aveva spiegato ormai 6 anni fa Pierluigi Fusco Girard, amministratore del Linificio e Canapificio Nazionale del gruppo Marzotto che è l’ultimo centro che continua a filare canapa italiana derivata da una produzione dei primi anni duemila, per una moderna filiera della canapa servirebbero “cuore, testa e portafoglio”. E se da una parte ai nostri agricoltori e imprenditori il cuore e la testa non mancano di certo, quello che è mancato nel nostro Paese è un’istituzione che avesse identificato il problema, e cercato soluzioni e fondi per superarlo.

Ad oggi ancora non è successo, e i problemi della canapa tessile sono gli stessi di 50 anni fa, quando si lamentava la mancanza di macchine ad hoc per la raccolta in campo, la mancanza di centri di prima trasformazione per stigliare la fibra di canapa e separarla dal canapulo, e la meccanizzazione delle operazioni successive come ad esempio la macerazione, che permette di “liberare” definitivamente le fibre, o la successiva pettinatura.

Normandia e canapa tessile: il ritorno dell’oro verde

canapa tessile_hyler_sativa1_eric_biernackiLe cose stanno andando diversamente in Francia che è storicamente il primo produttore di canapa in Europa con oltre 20mila ettari e che, grazie alle conoscenze dei produttori di lino, ha avviato una moderna filiera produttiva in Normandia a distanza di 50 anni dalle ultime produzioni.

Come racconta il sito di informazione della Regione, per Henri Pomikal (nella foto di copertina insieme a Nathalie Revol), linicultore e agricoltore nella piana di Caen, il fattore scatenante è avvenuto nel 2018 durante un viaggio in Cina culminato con la visita di un impianto per la filatura della canapa.

Incaricato dall’associazione Lin et Chanvre Bio (LCBio) di ricostruire un settore della canapa in Normandia, raccoglie la sfida e si mette al lavoro. Nel 2019 coltiva i primi 300 m², l’anno successivo ne semina 5 ettari.

Nel frattempo aderisce all’associazione, che conduce prove di canapa tessile in Normandia dal 2017 – supportata dalla Regione – per ricreare un modello come quello del lino, di cui la Normandia è il maggior produttore mondiale.

“Tutti i nostri test di coltivazione sono stati conclusivi ma abbiamo avuto un grosso problema, ci mancava la macchina giusta per raccoglierla. Perché la canapa cresce fino a due metri, molto più in alto del lino. Il primo anno, abbiamo armeggiato con due falciatrici cinesi e siamo riusciti a garantire il raccolto.”

Poco più tardi, insieme a Niels Baert dell’azienda Hyler, presenta un prototipo su un piano 3D. Per realizzarlo servono 600mila euro che vengono messi a disposizione dalla Cooperative agricole linière du nord de Caen e dalla Regione Normandia. Consegnata all’inizio di agosto 2021, pochi giorni prima del raccolto, la nuova Hyler Sativa 200 fa il suo lavoro. “Nel giro di due anni siamo riusciti a creare qualcosa che non esiste in nessuna parte del mondo!”

Anche se il numero di coltivatori e le superfici coltivate a canapa stanno aumentando esponenzialmente in Normandia (da 10 ettari nel 2018 a 140 ettari nel 2022 e più di 500 nel 2023), rimangono molte sfide.

“Oggi il settore della canapa è sulla buona strada, ma la strada è ancora lunga”, considera Henri Pomikal. “Dobbiamo aumentare le flotte di attrezzature per la stigliatura e la raccolta. Dobbiamo migliorare gli strumenti di lavoro, le velocità, le rese e i rapporti fibra lunga/fibra corta per avvicinarsi il più possibile ai rapporti del lino. In futuro sarà necessario utilizzare anche il canapume (paglia) nei materiali per l’eco-costruzione e, naturalmente, garantire la remunerazione degli agricoltori”.

Il tutto, mentre la domanda di prodotto resta molto più alta dell’offerta.

In Italia 4500 anni fa si filava la canapa

Ed è un vero peccato che anche in Italia non si riesca a mettere in moto un’esperienza del genere. Perché le prove storiche raccontano che nel nostro Paese l’uso della canapa tessile si perde nella notte dei tempi.

Secondo uno studio pubblicato sull’American Journal of Physical Anthropology, da un gruppo di ricercatori guidati da Alessandra Sperduti del Museo delle Civiltà a Roma, dopo aver analizzato attentamente oltre 3000 denti di circa 200 persone che sono state sepolte durante la prima età del bronzo nel sito di Gricignano, in Italia si filava la canapa già 4500 anni fa.

Utilizzavano i denti per aiutarsi nelle operazioni di filatura della canapa, che avveniva probabilmente a mano già nella prima età del bronzo. E’ la straordinaria scoperta fatta a Gricignano d’Aversa, a nord di Napoli, dove la comunità che ha occupato stabilmente la zona dal 2500 al 1800 a.C. viveva coltivando la canapa e utilizzandola come tessuto.

Altra scoperta recente è quella dei primi maceri romani, utilizzati proprio per la canapa tessile.

Il primo sistema di vasche per la macerazione della canapa ad oggi noto in tutto il mondo romano è stato scoperto ad Aquileia dagli archeologi dell’Università Ca’ Foscari di Venezia.

Si tratta di vasche utilizzate appunto per macerare i fusti della canapa e poterli così lavorare per ottenerne corde, funi, stuoie e reti.

Gli studiosi raccontano che: “Il sistema di maceri oggetto della scoperta, datato tra fine II-inizi III sec. d.C. e la fine del III sec. d.C. – inizi IV d.C, è disposto lungo la sponda orientale dell’antico fiume di Aquileia, il Natiso cum Turro, che definiva il sistema portuale della città in epoca romana. Le vasche sono allungate e poco profonde, delimitate da spallette realizzate con argilla, sabbia e minuscoli ciottoli e presentano sottili strati di “rivestimento” in cocciopesto con funzione impermeabilizzante”.

Le doti sostenibili delle canapa tessile rispetto al cotone

Un pezzo di storia che varrebbe davvero la pena recuperare, ancor di più alla luce delle doti sostenibili della canapa tessile. Come racconto nel mio libro “Cannabis. Il futuro è verde canapa”, la coltivazione del cotone è probabilmente il più grande inquinante del pianeta in termine di rilascio di pesticidi e insetticidi, oltre all’enorme consumo di acqua che comporta. Secondo le stime del WWF, per la produzione di un chilogrammo di cotone, equivalente alla produzione di un paio di jeans, possono servire più di ventimila litri d’acqua. L’organizzazione internazionale che lotta in difesa dell’ambiente spiega inoltre che il 2,4% dei campi in tutto il mondo è attualmente coltivato a cotone, incidendo sulle vendite globali di insetticidi per il 24% e di pesticidi per l’11%.

La fibra di canapa è più lunga, più assorbente, resistente e isolante della fibra di cotone. Come tessuto, grazie alla sua fibra cava, la canapa rimane fresca in estate e calda in inverno e funziona molto bene quando si tratta di traspirazione, regolando l’umidità dal corpo in modo efficace. Ha proprietà antimuffa e antifungine e protegge dai raggi infrarossi e da quelli UV. La resistenza agli strappi e alla trazione e di gran lunga maggiore a quella del cotone e tra le fibre naturali è quella che meglio resiste all’usura.

Ma un’altra importante caratteristica è quella di essere un tessuto antibatterico, come confermato da uno studio scientifico del 2008, che ha raccontato come le sostanze presenti nella canapa riducono la diffusione di alcuni batteri resistenti agli antibiotici, tra cui lo stafilococco aureo penicillino-resistente (MRSA). Potenzialità confermate da una review del 2014, secondo la quale: “Alcune piante a fibra naturale, come la canapa, sono considerate in possesso di attività antibatterica contro un’ampia gamma di batteri patogeni” in cui “il carattere antibatterico potrebbe essere conferito da cannabinoidi, alcaloidi, altri composti bioattivi o composti fenolici della lignina”. Mentre un altro studio, sempre del 2014, ha evidenziato le sue doti antibatteriche contro l’Escherichia coli.

Mario Catania

 

Altri articoli che potrebbero interessarti...