Sardegna: la direttiva che vuole bloccare la filiera della canapa, agricoltori sul piede di guerra

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1 / La direttiva e il processo alle intenzioni dei coltivatori

“La Procura Distrettuale di Cagliari ha emanato una direttiva sulle coltivazioni di canapa in Sardegna, che mette a repentaglio, di fatto, qualsiasi possibilità di sviluppo della canapicoltura sull’isola. In sostanza la Procura di Cagliari, riconosce la possibilità di sequestri preventivi delle coltivazioni, sulla semplice base del “sospetto“ di attività non conformi alla legge sulla canapa industriale (242/2016) e che, pertanto, potrebbero profilare il reato di produzione o detenzione di stupefacenti”, è la posizione di Federcanapa sulla direttiva della Procura di Cagliari emanata nei giorni scorsi, che, secondo l’associazione, si basa su due assunti in evidente contrasto con la normativa nazionale e comunitaria:

1. “Il documento sostiene che la cessione o vendita di prodotti contenenti “foglie, infiorescenze, olio e resine” risulterebbe tout courtun’attività illecita, in quanto prodotti non contemplati dalla legge sulla canapa industriale poiché non espressamente menzionati nella medesima. In realtà la legge 242 elenca tra le destinazioni ammesse, come riconosciuto nella stessa Direttiva, la produzione di ‘alimenti’, ‘cosmetici’, ‘semilavorati’ e addirittura di ‘coltivazioni per il florovivaismo’ senza mai specificare quali parti della pianta siano utilizzabili e quali no. Ma soprattutto, analizzando le normative di settore a cui la stessa legge rinvia risulta evidente la possibilità di produrre estratti in ambito alimentare o come semilavorati, foglie per i cosmetici e fiori recisi per florovivaismo”.

2. “Ancora più evidente il contrasto con la normativa comunitaria secondo cui le finalità della Convenzione Unica sugli Stupefacenti (a cui l’Italia ha aderito e su cui il Testo Unico Stupefacenti è stato modellato) è quella di evitare l’assunzione da parte dell’uomo di sostanze dannose. Ma come chiarito da più sentenze della Corte di Giustizia Europea (dal 2003 fino al 19 novembre scorso, che ha imposto allo Stato Francese il dissequestro di una partita di sigarette elettroniche al Cbd) non può valere per la pianta di canapa industriale proveniente da varietà certificate che, per la normativa comunitaria, è un prodotto agricolo e non una droga e come tale utilizzabile nella sua interezza per le finalità agro-industriali di legge. Sarebbe opportuno definire con chiarezza il concetto di “fiori, foglie, olio e resine” elencati nell’allegato al T.U. Stupefacenti, circoscrivendolo ai prodotti non riconducibili a varietà certificate nel catalogo europeo e che abbiano notoriamente efficacia psicotropa. Grave inoltre il suggerimento avanzato dalla Procura di Cagliari del sequestro preventivo. I controlli da parte degli inquirenti, in presenza della documentazione attestante la provenienza certificata delle coltivazione e la destinazione delle stesse alle finalità di legge (contratti, fatture ecc.), vanno effettuati nel rispetto degli elementari principi di legalità tipici dello Stato diritto e non, come suggerito nella Direttiva, mossi da una semplice presunzione di colpevolezza. Del resto ancora più strana ed anacronistica risulta la presa di posizione della Procura Distrettuale di Cagliari in un contesto europeo in cui altri Stati hanno già regolamentato la canapa in tutte le sue parti (Belgio, Croazia, Olanda, Rep. Ceca) o sono in procinto di farlo (Francia e Germania in primis dove giusto la settimana scorsa la Corte Federale ha dichiarato che la vendita di fiori di canapa certificata non è esclusa dalla normativa”.

La direttiva e il processo alle intenzioni dei coltivatori

E le reazioni sono diverse: da una parte la paura, proprio nel momento in cui ci si muove per acquistare i semi e approntare le coltivazioni, e dall’altra la voglia di sfidare la situazione paradossale che si sta creando, forti del fatto che la coltivazione di canapa, anche quella da fiore, rientra completamente nella legalità.

“In questo momento sta succedendo qualcosa di particolarmente strano, perché si stanno codificando una serie di iniziative processuali, che in realtà hanno già avuto applicazione in tempi recenti, vale a dire che le forze dell’ordine o su loro iniziativa o sulla spinta del pubblico ministero, più volte si sono recate presso coltivatori, procedendo al sequestro di intere coltivazioni, sostenendo la necessità di accertare se queste coltivazioni fossero lecite o illecite e cioè se effettuate secondo le regole della legge 242 del 2016 oppure no”, spiega l’avvocato Carlo Alberto Zaina.

Il problema, secondo l’avvocato, è il “salto di qualità” che si rischia con questa direttiva. “La ragione del sequestro adesso non è più solo l’accertamento del livello di THC, quanto piuttosto un vero e proprio processo alle intenzioni che si muove sul presupposto che il coltivatore coltivi non per uno dei 7 fini contemplati dall’articolo 2 della legge 242 del 2016, ma coltivi solo per produrre delle infiorescenze dando vita quindi ad una coltivazione illegale”.

Secondo l’avvocato, “è un fatto molto grave, perché questo approccio dimentica che le sezioni unite hanno ammesso in deroga al divieto generale di commercio la possibilità di commercializzare prodotti che non presentino livelli di THC idonei a suscitare effetto drogante, e quindi se esiste un prodotto che non causa effetti droganti, è evidenteee che questo prodotto deve derivare da una coltivazione, e se la coltivazione è finalizzata ad ottenere dei fiori che non hanno effetto drogante, la coltivazione è legale, questo è il principio”.

“Sono già stato contattato da agricoltori che sono stati avvicinati in maniera anche intimidatoria, ma se l’approccio è questo allora qualcuno dovrà spiegare che valore ha l’indicazioni delle sezioni unite, e anche che valore ha il principio per il quale la tossicologia forense individua delle soglie di THC oltre le quali non si può andare, e infine il fatto che la stessa legge 242 individua delle soglie come lo 0,2 e lo 0,6%, che valore possono avere”.

“Ovviamente”, conclude l’avvocato, “il coltivatore che intende procedere alla coltivazione, lo fa, come accadeva anche prima, a suo rischio e pericolo e io so di alcuni coltivatori che intendono proseguire per provocare un caso giudiziario. Hanno tutta la mia solidarietà e ho dato la mia disponibilità ad assisterli perché è evidente che queste persone, che hanno investito tempo e danaro in queste attività, in questo momento non intendono assolutamente venir meno ad una attività che stanno svolgendo lecitamente solo perché qualcuno si è messo in testa di battezzare questa attività, senza ragioni specifiche, come illecita”.

Senza dimenticare che la questione era già stata chiarita nel 2018 dall’allora viceministro del MIPAAF Andrea Olivero. Il riferimento è alla circolare pubblicata nel maggio 2018 in cui veniva messo nero su bianco che: “Con specifico riguardo alle infiorescenze della canapa, si precisa che queste, pur non essendo citate espressamente dalla legge n. 242 del 2016 né tra le finalità della coltura né tra i suoi possibili usi, rientrano nell’ambito delle coltivazioni destinate al florovivaismo, purché tali prodotti derivino da una delle varietà ammesse, iscritte nel Catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole, il cui contenuto complessivo di THC della coltivazione non superi i livelli stabiliti dalla normativa, e sempre che il prodotto non contenga sostanze dichiarate dannose per la salute dalle Istituzioni competenti”.

Redazione di Canapaindustriale.it

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