Uniformi in canapa: le vuole l’esercito americano

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In questo articolo
1 / Canapa per la vittoria?
2 / Uniformi in canapa per i cecchini: la nuova richiesta dell’esercito
3 / Uniformi in canapa: quale può essere utilizzata  
4 / La canapa nel mondo militare

L’esercito americano vuole dotare i suoi cecchini di uniformi in canapa. Ad annunciarlo è lo stesso organo militare che ha richiesto di utilizzare la pianta per realizzare uniformi resistenti e più adatte alla mimetizzazione.

Canapa per la vittoria?

Insomma, è proprio vero che la storia è ciclica. Era il 1942 quando il dipartimento dell’Agricoltura americano creò “Hemp for victory” documentario che con toni altisonanti e propagandistici racconta come la canapa faccia parte della storia, culturale e agricola, dell’umanità e sia stata utilizzata per migliaia di usi. Tanto da sostenere che la canapa fosse una pianta decisiva per le sorti della vittoria nella Seconda guerra mondiale che gli Stati Uniti si accingevano ad affrontare. Ma cosa ha fatto cambiare così rapidamente idea al governo americano che solo 5 anni prima, nel 1937, aveva emanato il Marihuana Tax Act, criminalizzando la pianta, inclusa la coltivazione a scopo industriale? Proprio lo scoppio della guerra.

La marina militare aveva bisogno di grandi quantitativi di canapa per la flotta di navi ed alcune parti degli equipaggiamenti. A quel tempo gli USA importavano la canapa dalle Filippine e il problema si concretizzò quando nel 1942 furono conquistate dal Giappone, che bloccò ogni esportazione della pianta. Ecco spiegato il perché di questo documentario che contiene una vera e propria ode alla canapa e alle sue applicazioni, spronando i contadini affinché tornassero a coltivarla. Di questo filmato si era persa ogni traccia fino al 1989 e le stesse biblioteche del dipartimento dell’Agricoltura e del Congresso negavano che un simile film fosse mai stato fatto. Tuttavia due copie in VHS del film furono recuperate e donate alla Biblioteca del Congresso il 19 maggio 1989 da Mia Farrow, Carl Packard e Jack Herer.

Oggi per la canapa è possibile una nuova vittoria, che non a nulla a che fare con la guerra, ma molto con l’economia sostenibile e il futuro del pianeta.

Uniformi in canapa per i cecchini: la nuova richiesta dell’esercito

Dopo la legalizzazione del Farm Bill nel 2018, la canapa industriale negli Stati Uniti ha registrato un boom in termini di coltivazioni e utilizzi, che spaziano dal settore alimentare all’edilizia passando per il tessile, dove la canapa viene utilizzata da secoli soprattutto grazie alla sua incredibile resistenza e versatilità, due caratteristiche alle quali oggi si affianca il ridotto impatto ambientale.

Ora, anche l’esercito degli Stati Uniti sembra andare in questa direzione. La richiesta, pubblicata alla fine di giugno dalla divisione Product Manager Soldier Clothing and Individual Equipment dell’esercito statunitense, è stata fatta per virare verso l’utilizzo di materiali alternativi a quelli tradizionali per migliorare le uniformi mimetiche degli Snipers. La richiesta, in realtà, non si limita alla canapa, ma coinvolge anche altri materiali naturali come la iuta, che potrebbero supportare il progetto “Operational Clothing and Individual for the Improved Ghillie System (IGS).”

“L’IGS è un nuovo e migliorato sistema di occultamento Sniper sviluppato per soddisfare le esigenze di mimetizzazione”, spiegano dall’esercito. “L’IGS deve avere materiali mimetici modificabili (ad esempio iuta, canapa o fibre naturali simili) che possono essere utilizzati per cambiare l’aspetto del cecchino. L’IGS in iuta, canapa o altra fibra naturale aiuterà a nascondere il cecchino e l’esploratore durante le missioni, consentendo loro di rimanere inosservati nelle immediate vicinanze delle forze nemiche”.

Uniformi in canapa: quale può essere utilizzata  

Secondo la richiesta pubblicata dall’esercito, la canapa potrebbe essere coltivata e filata a livello nazionale, ma non viene esclusa la possibilità di importazione da altri Paesi. Diverso il caso della iuta, che invece deve essere esclusivamente lavorata negli Stati Uniti (anche se può essere coltivata altrove).

L’aspetto più importante è che “il materiale non deve presentare un pericolo per la salute del soldato e deve mostrare compatibilità con il contatto diretto e prolungato con la pelle”. Inoltre, la materia prima scelta non può e non deve “aggiungere una quantità significativa di peso” alle divise.

La risposta a livello federale è attesa entro il 27 luglio.

La canapa nel mondo militare

Grazie alla sua resistenza, la canapa viene da tempo usata in diversi settori come valida alternativa a materie prime diametralmente opposte. Un esperimento estremamente significativo è quello condotto da Henry Ford nel 1941, quando presentò al pubblico un’auto con parti create con un materiale composito molto simile alla plastica, ma realizzato con fibre di canapa.

Tra i diversi settori, oltre a quello automotive, c’è anche quello militare, dove l’utilizzo della pianta affonda le sue radici in epoche antichissime; tra i primi esempi c’è l’utilizzo fatto dagli etruschi, come raccontato da Giovanni De Caro, che realizzavano armature in canapa multistrato. Insomma: le uniformi in canapa americane non sarebbero una novità assoluta.

In epoche più recenti, invece, si assiste alla creazione di giubbotti antiproiettile in canapa, soluzioni fino a 20 volte più leggere rispetto a quelle tradizionali che solitamente arrivano a pesare fino a 15 chilogrammi perchè rinforzate con acciaio o Kevlar, una fibra sintetica utilizzata anche negli aeroplani. La canapa, in questo caso, non si rivela solo un’alternativa più leggera ma ugualmente resistente, ma anche più sicura per l’uomo e per l’ambiente, perché per realizzare il Kevlar vengono usate sostanze pericolose come l’acido solforico. A fare da apripista in questo contesto ci sono state aziende con sede in Turchia e nei Paesi Bassi, che hanno brevettato questi speciali giubbotti utilizzando materiali compositi a base soprattutto di fibre di canapa, resina e soluzioni enzimatiche.

Ulteriore punto a favore della canapa è la sua capacità di assorbire le radiazioni, come confermano anche alcuni studi condotti nelle aree di Chernobyl e Fukushima.

Martina Sgorlon

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